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Oggi vi ripropongo un post scritto due anni fa, perchè nonostante mi stupisca del tempo che scorre velocemente,  credo che certi pensieri e situazioni tornino e si ripropongano ciclicamente. A distanza di due anni ho raggiungo una più completa consapevolezza di me, ho lavorato, tanto, ho fatto esperienze importantissime, posso essere fiera di ciò che sono e ho fatto, ma ho ancora le stesse insicurezze, continuo a pormi gli stessi interrogativi e sono ancora profondamente, completamente in sintonia con queste splendide parole (quelle di Alberoni e anche un po’ le mie). Buona lettura.

Ho ripensato ad un articolo apparso ormai cinque anni fa sul Corriere della Sera. Uno schietto e speranzoso Francesco Alberoni lo intitolava più o meno così “Per avere successo bisogna capire dove passa la storia” e una ragazzina sognatrice in attesa della maturità lo leggeva più volte, per poi ritagliarlo e riporlo tra le sue cose più preziose.

Ci sono dei momenti decisivi nella vita in cui, scegliendo in un modo o nell’altro determiniamo, in modo irreparabile, il corso della nostra esistenza. E quasi sempre non sappiamo di farlo, non conosciamo noi stessi, non conosciamo il vasto mondo, le tendenze storiche, le forze che lo governano. E’ il caso della ragazza che, in rotta con la famiglia, cercando se stessa, la sua indipendenza e la sua maturità, si innamora a diciott’anni, non ha paura di avere un figlio da sola, anzi ne è orgogliosa, lo vive come una sfida al mondo adulto e conformista. Poi si trova senza un lavoro a lottare giorno per giorno contro la miseria. O il giovane bullo che sfoga la sua volontà di potenza come sopraffazione, e che finisce nella camorra. Noi siamo il prodotto del nostro ambiente. E’ incredibilmente difficile sollevarsi da soli, da una famiglia povera, da un ambiente isolato.

Ricordo la gente del ghetto nero di Watts, che non aveva i soldi per prendere il pullman con cui uscire e andare a cercare il lavoro. In alcuni campi solo un insegnamento precoce consente di arrivare al successo, per esempio nella musica. Giuseppe Verdi, se non avesse incontrato un benefattore che, vincendo le resistenze di suo padre, lo mandasse a studiare a Milano, non ci avrebbe lasciato una riga della sua meravigliosa musica.

E’ immenso il peso della famiglia, del suo sapere, delle sue relazioni sociali. E’ la famiglia che ti manda nella scuola giusta, dove farai le amicizie utili, che ti inserisce nella rete di relazioni sociali in cui si fa carriera. Tutti i politici e i grandi funzionari inglesi venivano dalla scuola di Eton. In tutti i campi ci sono poi i “figli d’arte” che si avvantaggiano delle posizioni raggiunte dal padre o dalla madre: nello spettacolo, nella scienza, nella finanza. La nostra società è fatta di clan, consorterie, tribù. Se ci sei dentro la tua vita è in discesa, se sei fuori trovi strade sbarrate. Però c’è anche gente che riesce da sola e che, partendo dal basso, raggiunge i traguardi più elevati.

Sono sempre persone dotate di una straordinaria fantasia e di una volontà inflessibile. Gente che sa resistere allo scoramento e rialzarsi dopo essere caduta dieci volte. Ma deve avere anche una qualità in più: saper intuire qual è il tipo di attività più promettente in quell’epoca e qual è il suo centro propulsivo, il luogo in cui si deve andare.

Napoleone, per realizzare le sue potenzialità, non doveva restare in Corsica, ma recarsi a Parigi dove si plasmava la storia del mondo. Bisognava andare ad Atene nel V secolo, a Firenze nel ‘400 per imparare la pittura e la scultura, in Germania nel XIX secolo per imparare la filosofia, negli Usa nel XX secolo per fare la grande scienza. O, per il cinema, a Roma all’epoca di Antonioni, Visconti, Fellini. E, alla fine degli anni Settanta, a Milano quando con Armani, Versace e pochi altri potevi contribuire a creare la moda italiana. La capacità di capire dove si crea il nuovo, dove passa la storia o, come dice Hegel, lo “spirito del mondo”, e di corrervi subito e coraggiosamente, è forse il più importante fattore di successo individuale.”

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Ricordo di aver interpretato questo articolo come un segno del destino, un incoraggiamento ad andare avanti per la mia strada, che poi qualcuno avrebbe pensato in qualche modo a me, di ceto medio, ma non abbastanza da potermi permettere l’università fuori senza l’aiuto di mamma e papà, io che nella vita avevo e ho un solo chiodo fisso e ogni giorno lotto contro chi non crede abbastanza in me e nelle mie capacità.

Quell’articolo, ritagliato accuratamente e risposto nella mia agenda, è ancora lì, a ricordarmi che ce la posso fare, quando brutti dubbi assalgono la mia mente e il mio cuore necessita di una forte dose di motivazione. Credo che sia capitato un po’ a tutti di essere demotivati, giù di tono o semplicemente stanchi, così come a tutti è capitato di pensare di non potercela fare, di essere precipitati in una realtà troppo grossa, insostenibile. E guai a chi mi dice che non viviamo in un mondo difficile e che il futuro che attende noi giovani è semplice e roseo! Siamo in una fase di stallo e ce ne accorgiamo quando una persona più grande di noi inizia un discorso dicendo “…certo ai miei tempi era tutto più semplice…”. Viviamo in un mondo in continua espansione eppure così piccolo, facile da raggiungere con un solo click.

Ci sembra di avere tante, fin troppe possibilità, eppure siamo maledettamente divisi tra quanti non sono disposti a lottare per i propri sogni e chi invece lo fa costantemente ma trova davanti a sé un enorme macigno. Disoccupazione, futuro incerto, qualcuno che ti sorpassa solo perché raccomandato, indecisione, confusione. Chiamatelo come volete, ma di certo il mondo là fuori non aiuta chi pecora si fa o lo è per davvero.

E quindi non mi resta che aggrapparmi alle parole di Alberoni, che pur non facendomi rientrare nella schiera dei “figli d’arte”, mi incoraggia in qualche modo a pensare che ci siano tanti altri modi per emergere. La fantasia e la creatività per esempio. Il talento che scorre nel sangue e la pazienza, la stessa necessaria a costruire un castello di sabbia: sai bene che sei bravo e che in poco tempo riusciresti a tirarlo su e decorarlo alla perfezione, ma sei anche consapevole che basta un soffio di vento o un’onda più alta e in un batter d’occhio sul bagnasciuga non resterà che un cumulo di terriccio appiccicoso trascinato dall’acqua. La pazienza dunque e il coraggio di assurmersi la responsabilità delle proprie scelte, di rialzarsi dopo una battaglia persa e promettere a se stessi di vincere l’intera guerra. E poi ci vuole anche fiuto, dice Alberoni. Sapere dove si fa la storia e soprattutto con quali mezzi la si fa, fare l’inventario delle armi e saperle sfruttare al massimo.

E mi ritrovo a chiedermi se sia davvero questa la strada adatta a me, se sono abbastanza forte da reggere le sconfitte, le notte insonni e le cornette sbattute in faccia. Sono pronta a lottare contro chi mi riderà in faccia e mi darà dell’incapace? Sono pronta a sopportare che ci sarà sempre qualcuno un gradino sopra e accettarlo pur dubitando che ci sia arrivato solo con i suoi mezzi? Sono pronta a lottare per i miei sogni e le mie capacità? E in nome del giornalismo?

Ci penso ogni giorno e non ci dormo la notte, sono consapevole di ogni più piccolo risvolto negativo, so benissimo a cosa vado in contro e alle mille delusioni che insidiano il mio cammino eppure quando penso al mio futuro non riesco a vedere altro e mi sento realizzata solo se agito freneticamente le mie dita su questa tastiera. E allora ricordo la risposta a tutte le mie domande e sorrido, e capisco che sono solo io l’artefice del mio destino, che ce la posso fare anche solo con le mie forze.

Consigli, sostegno e affetto di chi legge questo mio intervento sono però compresi e doverosi: non sarei dove sono se non ne avessi avuto bisogno e fatto tesoro.