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L’impellente desiderio di scrivere che diventa un’esigenza. Quando le dita sulla tastiera decidono cosa fare al posto tuo e probabilmente ciò che ne verrà fuori sarà un giro di parole senza senso. Tornare a scrivere solo per il gusto di farlo, dopo giorni, settimane di silenzio, è un po’ come liberarsi. Come un vaso pieno d’acqua che ha appena superato l’orlo e il suo contenuto vien giù inesorabilmente. La sensazione che si prova nello svuotarsi è piacevole, ti ricorda chi sei davvero, chi temi di diventare e chi di sicuro non vuoi essere.

Appunti sparsi su mille piccoli fogli gialli, agende piene di scarabocchi, scrivanie zeppe di libri, cose da ricordare e note, senza mai avere il tempo per me, per dedicarmi alle cose che amo, senza l’assillo dei minuti contati e del mio nemico più grande, la paura di iniziare qualcosa, qualsiasi cosa. Perché tutto sta sempre nell’iniziare e la sensazione di smarrimento è  simile a  quella che si ha davanti a un’enorme matassa ingarbugliata da srotolare.

Difficile mettere le emozioni nero su bianco. Ancora più difficile capire da cosa cominciare a raccontare. Oltre al fatto che nell’ultimo anno ho accumulato una quantità talmente elevata di vissuto ed esperienze che se pensassi ancora un po’ rischierei di farmi esplodere il cervello. Prima o poi mi convincerò che il modo migliore di liberarsene è “vomitarli” (le orecchie sensibili mi scuseranno, ma rende meglio l’idea) in un libro.

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In attesa del filo conduttore che leghi le parole di un libro tutto mio, mi tengo allenata con letture spensierate, come quella – piacevole e tutta di un fiato di ritorno in treno da un fine settimana barlettano – dell’ultimo libro di Carla SignorisMeglio vedove che male accompagnate“. Si parla di amore, amicizia, tradimenti, lavoro, maternità. Si parla di donne insomma, chi altro sennò? Buon inizio di settimana gente!